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Il mio appcon esposto…

~ tornerà la distanza tra le dita delle nostre mani

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Inverno di F. De Andrè

21 venerdì Dic 2018

Posted by lorenzoqsimano in Fabrizio De Andrè, I Poeti

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Tag

1968, Alba, Campanile, Camposanti, Cielo, Cimiteri, Confini, Domani, Estate, Fabrizio De Andrè, I Poeti, Inverno, Nebbia, Neve, Ombre, Prati, Silenzio, Stagioni, Terra, Tutti morimmo a stento

Sale la nebbia sui prati bianchi
Come un cipresso nei camposanti
Un campanile che non sembra vero
Segna il confine fra la terra e il cielo

Ma tu che vai, ma tu rimani
Vedrai la neve se ne andrà domani
Rifioriranno le gioie passate
Col vento caldo di un’altra estate

Anche la luce sembra morire
Nell’ombra incerta di un divenire
Dove anche l’alba diventa sera
E i volti sembrano teschi di cera

Ma tu che vai, ma tu rimani
Anche la neve morirà domani
L’amore ancora ci passerà vicino
Nella stagione del biancospino

La terra stanca sotto la neve
Dorme il silenzio di un sonno greve
L’inverno raccoglie la sua fatica
Di mille secoli, da un’alba antica

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
Cadrà altra neve a consolare i campi
Cadrà altra neve sui camposanti.

Fabrizio De Andrè, Tutti morimmo a stento, 1968.

 

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È inutile aspettare il silenzio

14 lunedì Mag 2018

Posted by lorenzoqsimano in Debolezze, Dune

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2014, Alba, Amore, Autostrada, Cani, Canto, Desiderio, Figli, Giorni, Libertà, Morte, Morti, Nero, Notte, Notti, Onde, Orologio, Palazzi, Rispetto, Sangue, Silenzio, Versi liberi, Versi sciolti

È inutile aspettare il silenzio.
L’autostrada nella notte
non si ferma. Nessuno
sembra avere più rispetto
della notte, che riposo dovrebbe
recare a chi s’altera il sangue
ogni dì per i figli, per i morti,
per le mogli e per il nulla.
E invece il gallo canta nervosamente
ancor prima dell’alba, forse
perché odia le infinite auto
che continuamente
s’abbattono sulle onde.
Qualsiasi frazione di secondo
è preclusa al silenzio:
urla la lancetta dell’orologio,
cigola e sbatte maleducato
il cancello di palazzi
ancora troppo vivi.
Intanto canta un cane
le sue pene d’amore e il desiderio
di libertà. E mentre tutto
sembra nero come il silenzio.
La notte offesa si trasforma
la notte che piange non guarisce
la notte dimentica
perché abbiamo perso il giorno.

 

Lorenzo Cusimano, Debolezze, Casteldaccia (Italy), 2014.

 

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Epigrafe

23 giovedì Nov 2017

Posted by lorenzoqsimano in Appartenenze, Debolezze

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2014, Agostina, Alba, Compleanno, Giugno, Sole, Versi liberi, Versi sciolti

Ad Agostina, generoso
dono luciferino, che in un’alba
di giugno, dimenticar mi fece
che il sole sorge.

 

Lorenzo Cusimano, Debolezze, Casteldaccia (Italy), 2014.

 

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Gelsomini: il sole apre il mondo di qui

28 giovedì Set 2017

Posted by lorenzoqsimano in Debolezze, Estive

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2014, Agostina, Alba, Amore, Aria, Autunno, Brezza, Cielo, Cuori, Dono, Endecasillabi, Estate, Fiori, Gelsomini, Mondo, Naso, Pioggia, Profumo, Settenari, Versi sciolti

Cadono come pioggia silenziosa
sulla verdura i bianchi gelsomini,
strapazzati dalla giovane brezza
d’un fresco amor che il caldo
e dritte strade sfida.
Profumi d’alba attraversan veloci
il brevissimo spazio
che tra il mio naso e ‘l tuo l’estate corre.
E dicon che la stagione non pensa
agli autunni imminenti
e che li gelsomini
sono come l’estate:
cadono come un dono
dal cielo, l’aria e ‘l cuore
di fragranze riempion e passano lesti.

 

Lorenzo Cusimano, Debolezze, Casteldaccia (Italy), 2014.

 

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L’alba

10 lunedì Ott 2016

Posted by lorenzoqsimano in A lei, Amando tua sorella

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2008, Alba, Endecasillabi, Magione, Nadia, Palermo, Settenari, Sole, Versi sciolti

Abbiamo aspettato di nuovo l’alba:
bella al sorger del sole,
ma lo eri anche tutti gli attimi prima.
Donna forte e sagace,
il mio amore, e il sedile, è tutto per te,
anche quando pisciavi
dietro la porta della mia macchina.

 

Lorenzo Cusimano, Amando tua sorella, Casteldaccia (Italy), 2008.

 

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Luce è vedere il cielo del mattino

08 sabato Ott 2016

Posted by lorenzoqsimano in A lei, Amando tua sorella

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Tag

2008, Alba, Birra, Birre, Cielo, Distico finale, Endecasillabi, Luce, Magione, Nadia, Palermo, Settenari, Sole, Strade, Versi sciolti

Luce è vedere il cielo del mattino,
con le spalle alla porta di casa tua,
e poi imboccare rapido e ventoso
un’autostrada lenta.

Gentile è averti aspettato una notte,
rendendo un tavolo bosco di birre:
condizione base per ricominciare
a sorridere in quelle piccole ore,
che Morfeo corrompe.

«Nadia, credo d’aver amato, stanotte,
di più delle altre volte».

 

Lorenzo Cusimano, Amando tua sorella, Casteldaccia (Italy), 2008.

 

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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di G. Leopardi

16 venerdì Set 2016

Posted by lorenzoqsimano in Giacomo Leopardi, I Poeti

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1830, Alba, Canzone, Cielo, Endecasillabi, Giacomo Leopardi, Luna, Morte, Pastore errante, Sera, Settenari, Sole, Stanze, Sventura, Uomini, Versi sciolti, Vita

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.

Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ queta e contenta;
E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.

Giacomo Leopardi, Canti, 1830.

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foto di Agostina Passantino

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Preghiera

23 lunedì Nov 2015

Posted by lorenzoqsimano in E continuo a cercare pace per la mia mente vagante, Frammenti

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2005, Alba, Anima, Compagni, Notte, Notti, Oscurità, Preghiere, Rancori, Realtà, Riccioli, Ricordi, Tati, Tramonto, Versi liberi, Versi sciolti

L’alba arriverà forse
quando i miei compagni mi rivorranno
con sé, credo mai; allora
mi rivivo il tramonto di questa
felice vita e forse la notte
insieme a te, che bella e con gli occhi
grandi illumini l’oscurità del mio cuore.
Salva la mia anima dal rancore
dolce creato candido; riporta me
al combatter sereno sogno di una realtà;
amami e smarriscimi nella dimenticanza
con l’unico ricordo: te e i tuoi riccioli.

 

Lorenzo Cusimano, Frammenti, Casteldaccia (Italy), 2005.

 

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La serenità falsa di un momento

30 venerdì Ott 2015

Posted by lorenzoqsimano in Conclusione amara e dovuta, Frammenti

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Tag

2005, Alba, Momenti, Monti, Occhi, Politica, Quintine, Sole, Tempesta, Tramonto, Versi liberi, Versi sciolti

Mordo la mia stessa lingua
per assaporare quell’ormai esigua
fragranza sanguigna di vita
che per azione ribadita
nelle vene scorre sola.

Solo esami e scelte economiche
condizionano le vili virtù apatiche
di noi uomini ieratici
di politica e circostanze fradici,
incapaci di saper parola.

Oggi nuvole sulle nostre teste
domani albe e poi tempeste:
desidereremo allora tramonti,
il sole scomparire tra quei monti,
chiuder gli occhi e in gola

la serenità falsa di un momento.

 

by Lorenzo Cusimano, from Frammenti, Casteldaccia (Italy), 2005.

 

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Il ricordo di Venere

25 lunedì Mag 2015

Posted by lorenzoqsimano in A quel cielo che non si vede più, I pianti, I pianti (e l'universo)

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2002-2003, Alba, Brezza, Cielo, Farfalle, Fronde, Lenzuola, Luce, Mare, Notte, Nuvole, Occhi, Orizzonte, Pianti, Ricordi, Sestina finale, Venere, Versi liberi, Versi sciolti

Da poco sei scomparsa,
o mia Venere!
Che notte insonne
ho trascorso, nel caldo
e nel sudore di quelle
bollenti e ruvide lenzuola.

Ora son qui fuori
a respirar l’aria bianca
e a udir il gallo cantare
tre volte, mentre tu ormai
sei già nascosta.

Tira brezza e le foglie
si muovon leggermente.
Il mare è lì, come è sempre,
di fronte a me, sembra nuovo
e sconosciuto; e intanto
svegliansi i raggi del sole.

La notte è ormai un ricordo
e il cielo è una farfalla
che vola e scappa
da questa terra calda e sporca,
come il topo dal gatto.

Già Venere sei anche tu ricordo,
bello, corto e fuggitivo;
sei andata via saltando
tra il canto degli uccelli
e l’odor dell’uomo che dorme
in questa notte arida.

Aspettando il dì mi accascio,
ma non mi chiedo nulla o perché.
È stanca questa notte
ed è fresca la giornata
che nel mare s’è confusa,

mescolando l’orizzonte
tra le nuvole e le fronde.
Tira brezza e gioca la luce,
che pian pian s’impadronisce
dei miei occhi gonfi e stanchi
piangenti te, ormai andata.

 

Lorenzo Cusimano, A quel cielo che non si vede più, Casteldaccia (Italy), 2002-2003.

 

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